Sunday, December 03, 2006

::spr3muta::

Volevo solo essere ascoltato.
Quella spremuta era tutto per me.
Appena sveglio, quando mi accorsi che nel frigo mancava la spremuta d'arancia, mi prese la depressione.
Volevo solo quella fottuta spremuta d'arancia.
Gliel'avevo detto a Jay, quello del Penny's dove facevo colazione.
"Abbiamo finito le arance Tom, se vuoi c'è del delizioso succo al pompelmo!".
No. Io quella merda non la volevo. Io volevo le arance e basta.

Per spostare tutto quel macello ci vollero ore.
Jay era pesante, l'ho dovuto tagliare in tre parti e sbatterlo nel sacco blu.
Gli altri del Penny's erano fuggiti.
Uscì con quel sacco blu pesantissimo e incontrai il diavolo.
Faceva molto caldo.
"Bene, ma bravo caro Tom. Ora vieni con me all'inferno!"
Lasciai cadere il sacco. Accesi una sigaretta.
"Laggiù avete le spremute d'arancia?"
"Non so, forse le abbiamo finite." rispose il diavolo.

Per spostare tutto quel macello ci vollero ore.
Il diavolo era pesante, l'ho dovuto tagliare in tre parti e sbatterlo nel sacco giallo.

Monday, November 27, 2006

::|N0N:FAVOLE|::

Nell'antichissima Grecia c' erano grandi pensatori e filosofi.
C'era Socrate, Aristotele, Euripide e ce n'era uno più gagliardo, Clitoride.
Clitoride scopava e basta.
Egli non stava a pensare, ragionare e quant'altro.
Preferiva i dolci piaceri della carne, scopava come un'antilope e aveva l'hobby del porno amatoriale con le capre.
Un giorno Clitoride incontrò Socrate e lo mandò a cagare con vigore.

Monday, November 20, 2006

:t.h.i.n.g:

Ogni volta che passavo davanti a quella casa avvertivo quella sensazione.
Una casa vecchia, dalle mura grigie come il cielo d'inverno, i rampicanti che sembrano vene marce, due vecchi alberi ai lati che piangevano tutta la notte.
La porta d'ingresso allagata da piccole scale, molte delle quali ormai rotte, di marmo scuro.
Due piani, sormontati da un tetto molto alto, completamente nero, un camino ormai morto che non vomita più fumo da chissà quanti anni.
E quella finestra. Quella maledetta finestra.
Mi fermavo sempre ad osservarla. Una volta vidi quell'orrenda cosa.
Una cosa nera, malvagia. Una presenza dai lineamenti forse femminili. Si muoveva in modo inconcepibile, avanti e indietro, a scatti.
Come fosse un ologramma oscuro, privo di vita, agonizzante.
Vidi quella cosa per pochi secondi. Mi entrò dentro.
Osservavo quella finestra sperando di scoprire qualcosa, non so cosa di preciso, era come essere incollato, avere voglia di paura, una sensazione orribile ma al tempo stesso elettrizzante.
Ma non vidi nulla.
Ci passai tutti giorni per un mese, forse due. Ma nulla.
Quella casa era abbandonata da tempo, i proprietari fuggiti chissà dove, strane storie sul loro conto. Un classico da film dell'orrore. Ma quella cosa io l'avevo vista.
Un giorno presi il treno per tornare a casa. Lo prendevo tutti i giorni per andare a lavorare come giornalista al daylight, una rivista che si occupa di cronaca nera, un lavoro che ti mangia la vita.
Il viaggio era breve, solo due ore scarse.
Dovevo andare al bagno. Quella sera non c'era tanta gente. Quasi nessuno.
Presi il corridoio buio, le luci andavano e venivano, mancanza continua di corrente.
Quella cosa era là. In fondo al corridoio.
La sentivo, era la stessa sensazione di quando osservavo quella casa.
Una forma storta e nera. Si muoveva a scatti avanti e indietro. Stava immobile.
All'improvviso la luce saltò. Mi ritrovai al buio. Solo.
Il rumore del treno che andava. Un rumore che non finiva mai.
Davanti a me un muro nero, il muro della paura.
Non vedevo nulla e quella cosa forse sarebbe venuta a prendermi.
La luce all'improvviso tornò.
Davanti a me solo il corridoio. Scesi da quel treno tre fermate prima della mia.
Ora quando passo davanti alla casa non guardo più quella finestra, proseguo dritto.
Forse ci sono cose che è meglio non vedere, cose che vanno lasciate in pace.
Forse quella cosa aveva un nome. Forse si chiamava notte.

Tuesday, November 14, 2006

:at.first.sight:

Stava lì, seduta un po' male su quella vecchia panchina della stazione.
Aveva un vestitino rosso con una spallina che gli scendeva, una piccola gonna nera e stivali dello stesso colore.
La pelle bianchissima come neve.
Fumava piano una sigaretta, il fumo tra le sue labbra usciva e formava strane forme, deliziose.
Era di profilo, il volto non riuscivo a vederlo bene coperto da quella frangetta scura.
Non si muoveva, era sempre ferma. Tutto era fermo. Tutto la stava osservando.
Solo il vento osava muoverle i capelli, solo lui sapeva come trattarla, come accarezzarla.
Anche l'altra spallina del vestito cadde.
Non se la mise a posto.
Lei fumava la sigaretta, una sigaretta che sembrava bruciare il mio respiro.
Ad un tratto si girò dalla mia parte. Inclinò solo un poco la testa, i capelli si mossero e riuscì finalmente a vederla in volto.
Gli occhi azzurri sembravano gocce d'acqua, così maledettamente malinconici e tristi, incorniciati da un trucco nero ormai sbavato. La bocca era un piccolo cuore rosso, carnosa e senza rossetto.
Quello sguardo mi fece girare la testa, un inferno che mi stava accecando.
Si girò di nuovo, così, all'improvviso. Come prima.
Tutto tornò ad essere la mia fottuta vita.
No.
Dovevo sapere il suo nome, conoscerla, dovevo sapere chi mi aveva regalato così tanto in un solo istante. Un solo secondo a lei bastò per farmi dimenticare tutto quello che avevo intorno.
Iniziai ad avvicinarmi a lei facendo finta di niente.
A ogni passo potevo sentire sempre di più il rumore del suo respiro. Stava ancora fumando quella sigaretta eterna.
Mi fermai a pochi centimetri da lei. Il gelo. Tutto di nuovo fermo.
Alzò lo sguardo su di me.
Quello sguardo.
Era fatta ormai.
Le domandai quale fosse il suo nome.
"Morte." rispose.

Wednesday, November 08, 2006

B|ll-K|ll

"Passami la birra." disse Bill, vestito come un coglione.
Aveva un maglione verde con scritte blu, orrendo.
Finita una sigaretta ne accendeva un'altra, puzzava da fare schifo.
"Hey, sai che esiste una cosa che spruzza acqua? Si chiama doccia, se vuoi è di là!"
"Mavaffanculo. Passami la birra."
Vivevamo tutti e due in un appartamento piccolo, con le pareti verdastre, la carta da parati strappata e un tappeto di scarafaggi per terra. Alla Indiana Jones.
Solo che Bill non aveva il cappello e la frusta, aveva solo un maglione verde con scritte blu, osceno.
Gli passai la birra. La bevve, ruttò con gusto e cadde con la faccia sul tavolo.
Sbrattò tutto sul pavimento, gli scarafaggi avevano di che mangiare quella sera.

Tuesday, November 07, 2006

°Amie°

Amie correva nel bosco quando pioveva. Aveva occhi grandi come il cielo, chiari come il mare d'estate.
Correva nel bosco senza paura. Vestita con un' impermeabile giallo e il cappuccio tutto rosso, i capelli biondi e lunghi.
Non aveva paura di nulla, più la strada si faceva buia più il suo passo si faceva convinto.
Con ai piedi stivali da pioggia lei era velocissima, tutta sporca di terra.
Ogni tanto si fermava a raccogliere dei fiori, alcuni li metteva tra i capelli.
Era piccolina e il bosco così grande per lei. Si allontanava spesso da casa ma trovava sempre il modo di tornare.
Lei seguiva le farfalle, guardava il cielo e si orientava così, era fatta di aria, conosceva la voce degli alberi.
Ma un giorno non tornò più indietro.
Si perse tra i colori strani, ballò sotto la tempesta, corse tra ombre scure come la notte.
Amie correva nel bosco quando pioveva. Aveva occhi grandi come il cielo, chiari come la vita.

:Il bambino del buio:

Dan aveva paura.
La notte era come una grande macchia d'inchiostro che si espandeva, iniettando nelle vene il terrore, l'angoscia.
Gli alberi nel giardino urlavano, avevano facce scavate nei tronchi, i rami come lunghe mani.
L'erba si agitava nel vento, un vento che aveva il sapore del ferro, sbatteva forte sulle finestre.
La cameretta di Dan sprofondava ormai nell'oscurità, solo una fioca luce lunare entrava a illuminare come una falce un piccolo angolo.
L' angolo dove c'era una porta. Una porta sempre chiusa. Una porta sempre normale, di giorno.
Ora era diversa. Risplendeva di nero, era di forma irregolare, con il buio non si distinguevano gli angoli, respirava.
Ne potevi sentire la presenza anche da sotto le coperte. Dan lo spaveva bene. Stava sotto il lenzuolo a righe, ogni tanto alzava la testa per vedere la porta.
Ma lei stava lì.
Fuori iniziava a piovere, una pioggia leggera e fastidiosa, faceva rumore sul tetto.
I suoni si moltiplicavano, ora anche un neonato piangeva in lontananza. Gridava, urlava, il suono con il vento si deformava, diventava una cantilena di morte.
La luna era stanca della propria luce, iniziava a nascondersi dietro nuvole porpora, lasciando il mondo da solo coi suoi incubi.
Dan fissava quella porta, sembrava aprirsi piano. La maniglia dall'interno faceva uno strano cigolio.
Si sentiva un rumore simile ad un rantolo, forse era solo suggestione ma sta di fatto che in quel momento tutto era reale, era infinito.
La notte era lunghissima e Dan non poteva aspettare la luce dell'alba.
Come desiderava la luce, magari una giornata di sole. Senza incubi striscianti, senza nulla, solo luce.
Avrebbe corso con la sua bicicletta fino al paese, con l'aria in faccia e il fango sulle scarpe.
Invece tutto spariva davanti al buio, esisteva solo lui, la stanza e la porta.
Dan si mise sotto le coperte, pensò di rimanere così fino al mattino.
Magari si sarebbe addormentato. Ma non riuscì a starci troppo, con la mano abbassò appena appena la coperta all'altezza di mezzo occhio.
La porta era socchiusa.
Silenzio.
La pioggia aveva smesso di suonare. Il neonato smesso di gridare. Tutto fermo, come il cuore di Dan.
Nel buio oltre la porta si percepiva qualcosa di storto, malvagio, qualcosa di bianchiccio.
Era una forma bassa, color latte. Forse un bambino, non aveva gli occhi normali.
Stava fermo là, immobile.
Sembrava da un momento all'altro capace di avanzare, di uscire dal buio, sulla falce chiara della luna.
Ma rimase immobile. Fece un verso, quasi una risata. Orribile.
Dan si coprì di nuovo con il lenzuolo.
Contò fino a dieci.
Uno..due..tre..quattro..cinque..sei..
Qualcosa sembrava respirargli addosso, appena sopra il lenzuolo.
Alzò di scatto le coperte in preda al panico.
Il corpo bianchiccio del bambino del buio era lì. Sorrideva coi denti neri.
La pioggia riprese a battere forte.